Dal mio diario di viaggio -3 – luglio 2016

Terzo giorno a NYC.

Comincio ad avere dimestichezza con i luoghi e gli spostamenti, metropolitane, ferries e Pier. Bene. Con le distanze non ancora. Cioè’, sei lì che guardi lungo la Fifth Avenue e ti sembra che il Battery Park sia lì a due passi ed invece saranno tre o quattro km dall’ Empire State Building, otto fermate di metropolitana.

Stavo per comprare un cappellino con gli strass e la scritta I LOVE NY ma ho poi ho pensato che non mi sentivo più così straniera e che poi , si, insomma, NY è una favola, ma io non la amo mica.

Tuffo nella storia oggi a Ellis Island. Isola dove gli immigrati venivano registrati, visitati e lasciati liberi di circolare oppure rimandati a casa. Stiamo parlando del periodo che va dai primi 900 al 1940. Il più grosso flusso fu prima degli anni 30. Tanti italiani, ma anche tedeschi e russi. Ho visto le pagine dei registri. Era il governo federale che gestiva tutta questa storia (mica come da noi che di unito, anche se federale, non c’è nulla), avevano già i nominativi di chi stava arrivando. Poi alcuni (il due per cento) li mandavano a casa perché ‘ avevano una malattia agli occhi, oppure tubercolosi, oppure erano definiti pazzi. C’erano dei test d’ intelligenza che dovevi superare, tipo i giochi di mettere la forma nello spazio corretto, robe così. Mah!

La chiamavano l’isola della speranza e delle lacrime. Mi sono commossa, quando ho visto le fotografie dei tempi. C’erano parenti che erano già arrivati che aspettavano dietro una porta l’esito della commissione, se li vedevano scendere dalla scala centrale erano destinati alla quarantena, perché’ malati, se arrivavano dalla scala di destra, tornavano a casa, la scala di sinistra era la scala della libertà.

Ha anche piovuto, che sembrava quasi un uragano poi, ma noi eravamo già al museo di Madame Toussaud. E io mi stavo facendo un selfie con Morgan Freeman. E quindi ridevo, anche per la pioggia, fuori.

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